Report scenari economici in Friuli Venezia Giulia

L’andamento del Pil del FVG, secondo le analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Prometeia, viene rivisto al ribasso ad ottobre rispetto alle previsioni dello scorso luglio. In dettaglio, si attende una crescita in volume del PIL regionale dello 0,8% nel 2023 e del 0,6% nel 2024, 0,3 punti percentuali ogni anno in meno rispetto allo scenario delineato tre mesi fa (rispettivamente, quindi, +1,1% e +0,9%). Le variazioni del biennio 23/24 sono in linea con quelle della macroregione del Nord Est e leggermente superiori a quelle nazionali (Italia: +0,7% nel 2023, +0,4% nel 2024).

Rispetto al quadro macroeconomico precedente, quello attuale incorpora un indebolimento della domanda estera, prezzi del petrolio e del gas più elevati e condizioni di accesso al credito più rigide.

Il FVG sta scontando un indebolimento del comparto industriale e un calo negli investimenti dell’edilizia.

Il valore aggiunto dell’Industria è stimato subire una contrazione quest’anno del -1,6%, quello delle costruzioni (che aveva registrato una crescita del 10,9% nel 2022) del -0,3%. In decelerazione i servizi, il cui valore aggiunto passerebbe dal +5,4% dello scorso anno ad un +1,9% nel 2023.

Per quanto riguarda le componenti della domanda, il caro prezzi frenerà i consumi delle famiglie, previsti crescere solamente dell’1,3% nel 2023 e dello 0,7% nel 2024, ad un ritmo comunque superiore a quello del Pil grazie alle condizioni ancora complessivamente favorevoli del mercato del lavoro (con il rimbalzo del +5,5% nel 2021 e del +5,9% nel 2022 i consumi delle famiglie si erano riportati sopra il livello pre-pandemia).

L’inasprimento delle condizioni monetarie peserà sulla dinamica degli investimenti, dopo la forte espansione degli ultimi due anni (+21% nel 2021, +8,6% nel 2022), che scenderebbero del -0,4% quest’anno e del -1,8% il prossimo. Il calo sarà limato dall’impulso espansivo degli interventi del PNRR. Il rapporto tra investimenti totali e Pil si manterrebbe comunque elevato nel confronto storico pre-2020 (22,8% nel 2023, 19,5% nel 2019).

Le esportazioni di beni in volume risentirebbero del rallentamento del commercio mondiale, per accelerare il prossimo anno: dal +9,9% del 2022 (con un rapporto export/pil del 48,6%), si passerebbe al -6,1% del 2023 e al +2,5% del 2024. Anche le importazioni sono previste in diminuzione quest’anno (-5,8%) e resterebbero stagnanti il prossimo (+0,2%) per effetto del rallentamento della domanda interna.

L’occupazione, misurata in termini di unità di lavoro, si incrementerebbe dello 0,4% quest’anno e dello 0,5% il prossimo. Il tasso di disoccupazione è previsto in ulteriore calo, passando dal 5,4% del 2022 al 4,7% del 2023 (era al 6,2% nel 2019, pre-pandemia).

L’inflazione è stimata in progressiva riduzione, ma ancora a livelli superiori, sia in Italia che nelle principali economie, all’obiettivo delle banche centrali del 2%, con conseguente prosecuzione del ciclo monetario restrittivo. Secondo la Banca d’Italia si porterebbe al 6,1% nella media di quest’anno (8,7% l’indice Ipca nel 2022), si ridurrebbe al 2,4% nel 2024 e scenderebbe all’1,9% solo nel 2025.

Lo scenario rimane soggetto a rischi, soprattutto di matrice internazionale. Le previsioni non tengono, inoltre, conto delle possibili ripercussioni del conflitto in Medio Oriente, né degli ulteriori, possibili effetti sul petrolio e sul gas. Una nuova fiammata dei listini potrebbe riaccendere l’inflazione e costringere le Banche Centrali a prolungare la stretta. Fino alla scorsa estate, grazie alla riduzione dei consumi e alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, erano state scongiurate le tensioni sul prezzo del gas naturale che si erano verificate nel 2022. Negli ultimi due mesi, il prezzo del gas è risalito, in linea con le consuete dinamiche stagionali legate all’approssimarsi dell’inverno, a causa di scioperi in alcuni siti di produzione e, negli ultimi giorni, per la situazione in Medio Oriente. Nonostante la quota importata dalla Russia ormai rappresenti una piccola parte sul totale delle importazioni di gas (a Tarvisio l’afflusso è passato in un anno dal 22 al 6%), gli stoccaggi si sono mantenuti su livelli elevati e attualmente il tasso di riempimento è superiore al 95%.

Un ulteriore rischio è legato all’inasprimento delle condizioni di finanziamento per le famiglie e le imprese ha contribuito a frenare la domanda di credito. Nella riunione dello scorso settembre la BCE, sulla base dell’andamento dell’inflazione, ha aumentato di ulteriori 25 punti base i tassi di interesse ufficiali, portando il tasso sui finanziamenti principali al 4,50% e quello sui depositi al 4%. Conseguentemente, sulla base delle analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati della Banca d’Italia, il costo del credito si è portato ad agosto al 5% per le imprese italiane e al 4,3% per le famiglie per l’acquisto di abitazioni.

I prestiti alle imprese a giugno, di conseguenza, sono scesi in Italia del 3,4% annuo e in FVG dell’11,8%, peggior dato fra le regioni italiane. Inoltre, una quota crescente di imprese non ottiene credito (8,2% in Italia): la domanda è frenata da condizioni troppo onerose, ma pesano anche i più stringenti criteri di accesso. Di pari passo, la liquidità delle imprese si sta prosciugando (-10,1% in un anno i depositi in Italia), mentre aumentano i ritardi nei pagamenti e il deterioramento dei vecchi prestiti. Viceversa, i prestiti alle famiglie, pur continuando a rallentare, registrano, sempre a giugno, un aumento dell’1% in Italia e dello 0,5% in FVG.

È auspicabile, visto l’indebolimento del credito, che la BCE proceda con la necessaria prudenza al fine di evitare indesiderate ripercussioni sull’attività economica, considerato il contesto di attenuazione della crescita della congiuntura internazionale e regionale e della minore capacità di reazione di imprese e famiglie, provate da ripetuti shock inattesi e violenti in questi ultimi tre anni, quali la pandemia, la vicina guerra e il forte rincaro dei prezzi delle commodity.

Il contesto economico internazionale resta in ogni caso debole. Per il Fondo Monetario Internazionale la Germania, principale partner commerciale del FVG, subirà quest’anno una contrazione dello 0,5%, con una revisione al ribasso dello 0,2% rispetto alle stime di luglio. Nel 2024 il rimbalzo si fermerà allo 0,9% (rispetto all’1,3% di luglio): la locomotiva tedesca si è dunque fermata. Correzione al ribasso anche per la Cina, sui cui pesa la crisi dell’immobiliare, mentre sono state alzate le stime per gli USA, la cui economia è sostenuta dagli investimenti delle imprese e dai consumi. Nonostante, infine, le sanzioni, Pil in crescita in Russia (dal -2,1% del 2022 al +2,2% del 2023).

Il commento del presidente di Confindustria Udine, Gianpietro Benedetti: “L’attuale trend economico, sia europeo che italiano, conferma quanto configurato qualche mese fa. Ovvero 18/24 mesi di economia raffreddata, forse più volatile del previsto per via degli eventi geopolitici in corso. Eventi che auspichiamo rimangano regionali e risolti al più presto. Rimaniamo altresì dell’idea che in queste situazioni sia opportuno investire per migliorare qualità e competitività dei prodotti, unitamente al servizio clienti. Da sottolineare che sin qui i dati consuntivi e previsionali confermano la competitività del sistema Friuli Venezia Giulia, che sarà mantenuta, appunto, investendo ed innovando”.