Assise Generali Confindustria 2018

ASSISE CONFINDUSTRIA 2018

LA VISIONE E LA PROPOSTA

Verona, 16 febbraio 2018

Documento Finale

 

Questo documento è la sintesi di un percorso di ascolto ed elaborazione maturato nel periodo Novembre 2017 – Febbraio 2018.

Si sono svolti 10 incontri di pre-Assise a Roma (24 novembre), Milano (28 novembre), Napoli (6 dicembre), Firenze e Bologna (7 dicembre), Torino (11 dicembre), Venezia (12 dicembre), Cagliari (15 dicembre), Palermo (19 dicembre), Bari (20 dicembre). Successivamente, si sono svolti 4 incontri di approfondimento: “L’impresa che cambia” (Milano, 16 gennaio); “Un Paese semplice ed efficiente” (Roma, 23 gennaio); “Paese sostenibile” (Gioia Tauro, 1 febbraio); “Europa miglior luogo per fare impresa” (Pordenone, 6 febbraio).

Durante la giornata del 16 febbraio delle Assise di Verona sono stati infine organizzati 6 tavoli tematici.

Complessivamente sono stati coinvolti 8500 imprenditori, ci sono stati 750 interventi di proposte e indicazioni di policy, e sono stati raccolti 90 documenti con contributi scritti da parte di imprese e di associazioni.

La visione

L’Italia è a un bivio.

Se ai tempi delle Assise del 2011 l’obiettivo era superare la grande recessione, in queste Assise del 2018 abbiamo davanti due opzioni: tornare rapidamente indietro, senza che però si riesca ad attivare una rete di protezione sul Paese e in particolare sui titoli del nostro debito pubblico, o andare avanti e aspirare a diventare il primo Paese industriale d’Europa.

Tornare indietro è un rischio concreto.

Le grandi economie mondiali stanno attrezzandosi per migliorare la loro capacità produttiva e affrontare le sfide del futuro. Gli Stati Uniti hanno varato una ambiziosa riforma fiscale per attrarre investimenti e riportare indietro capitali. La Francia si è rimessa in cammino nel percorso delle riforme strutturali. La Germania beneficia della catena del valore con i suoi paesi confinanti, soprattutto a est, e continua ad avere performance eccezionali in tema di esportazioni. La Cina sta transitando da un’economia forte sulle esportazioni di beni seriali e a basso costo ad una focalizzata su nuove tecnologie e infrastrutture all’avanguardia. Di fronte a questi scenari la scelta è accettare la sfida e rimanere nel gruppo di testa delle grandi economie mondiali o no.

L’Italia è in cammino ma non è chiaro quale sarà la direzione e la velocità di marcia nei prossimi mesi e anni. È indubbio che le elezioni che verranno tra poche settimane potrebbero restituire un quadro a dir poco confuso e con pochi, erronei, passi, il nostro Paese diventerebbe presto l’anello debole mondiale, con conseguenze sistemiche data la dimensione del debito pubblico e il peso dell’economia italiana nell’eurozona.

La programmazione economica di imprese e famiglie ha bisogno di stabilità e certezza in un orizzonte temporale di medio termine. L’incertezza globale e europea, e quella più specifica relativa alla politica italiana, riducono oggettivamente questo orizzonte, mettendo a rischio le possibilità di sviluppo del paese. Ridurre l’incertezza è fondamentale per attrarre sempre più imprese multinazionali, la cui presenza è cruciale per lo sviluppo e per aprire ancora di più l’Italia ai mercati esteri.

Per ridurre l’incertezza dobbiamo condividere una visione, tre missioni e mettere in campo una piattaforma di interventi che diano univocamente il senso di un Paese in marcia, efficiente, aperto all’Europa e al mondo, inclusivo.

Innanzitutto non bisogna smontare le cose fatte in questi anni e che hanno dato effetti economici positivi. Ci sono politiche che hanno inciso sui fattori produttivi in modo trasversale ai settori economici e che hanno permesso di accelerare i processi di cambiamento. Queste politiche – principalmente Jobs Act, Industria 4.0, riforma fiscale, finanza per la crescita, sostegno alla promozione delle imprese all’estero, riforma della pubblica amministrazione – vanno valutate per gli effetti che hanno generato, adattate per renderle più efficaci se necessario, ma non depotenziate per motivi ideologici.

Ciò non basta.

In una fase dove c’è chi invoca più pensioni e chi più spesa pubblica, noi vogliamo parlare di giovani e lavoro, crescita, riduzione del debito pubblico. Proponiamo un metodo che parta dagli obiettivi, delle vere e proprie missioni-Paese, individui gli strumenti, tenga conto delle risorse, valuti gli effetti, sappia modulare l’intensità degli interventi là dove più necessario, in un’ottica di politica economica unitaria per tutto il Paese. Non chiediamo più spesa pubblica, ma spesa migliore. Non vogliamo l’aumento del debito pubblico che scarichi ancora una volta gli oneri sul futuro dei nostri giovani.

In una fase di rinnovato slancio l’Italia può rivendicare a pieno titolo il suo ruolo in Europa e nel mondo, ma deve mostrare ai suoi interlocutori serietà nelle scelte di politica economica, autorevolezza, determinazione nel realizzare quanto promesso e auspicato.

La nostra visione mette allora al centro tre concetti chiave: più lavoro, più crescita, meno debito pubblico proponendo tre missioni-Paese, interconnesse tra loro:

Primo: un’Italia che include,

attraverso la creazione di opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani. La prima missione è raggiungere tra 5 anni un tasso di occupazione più alto di almeno 5 punti, con una disoccupazione giovanile che scenda di almeno 15 punti. Il tasso di disoccupazione deve scendere sotto al 7 per cento, creando in un quinquennio almeno 1,8 milioni di posti di lavoro.

L’impatto della crisi sul mercato del lavoro è stato particolarmente marcato per i giovani e ciò ha acuito la già molto netta segmentazione del mercato del lavoro italiano: tra il 2008 e il 2014 il tasso di disoccupazione è aumentato di 22,5 punti percentuali tra i 15-24enni e di 9,7 punti tra i 25-34enni, contro un aumento medio della disoccupazione di 6,6 punti. Nel 2016 un sesto dei 15-24enni era occupato, contro poco meno della metà in Germania (45,7 per cento) e quasi un terzo nella media dell’Eurozona (31,5 per cento). Ancora più marcato il divario territoriale interno: nel 2016 tra i 15-24enni poco più di uno su dieci era occupato nel Mezzogiorno (11,8 per cento) contro più di uno su cinque al Nord (21,0 per cento).

Periodi prolungati di disoccupazione e inattività aumentano il rischio di un’uscita permanente dal mercato del lavoro; la riduzione della forza lavoro a cui il sistema può attingere abbassa il potenziale di crescita. Scarse opportunità lavorative conducono all’emigrazione, creando un circolo vizioso.

In Italia assistiamo a un singolare paradosso. Mentre cresce la disoccupazione giovanile cresce il numero di imprese manifatturiere che non trovano tecnici specializzati. Il mismatch nasce dal mancato incontro tra domanda delle imprese e offerta formativa scolastica e da un deficit strutturale di orientamento.

Allo squilibrio per età si accompagna quello di genere: nel 2016 il tasso di occupazione femminile era pari al 48,1 per cento, oltre 18 punti percentuali in meno degli uomini e più di 12 sotto la media europea. Nel Mezzogiorno si ferma al 31,7 per cento contro il 58,2 per cento al Nord. I differenziali di genere si ampliano enormemente nelle famiglie con figli perché entra in gioco la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia.

Portare al lavoro più giovani e donne è ancora più urgente in considerazione del processo di invecchiamento della popolazione in atto: oggi ci sono già 35 individui oltre i 65 anni ogni 100 persone in età lavorativa (15-64); nel 2060 ce ne saranno 62. Si tratta di numeri che mettono a rischio, in assenza di interventi, la tenuta del sistema di protezione sociale e dell’intero Paese.

Politiche premianti per chi assume, un sistema di formazione più adeguato ai bisogni del mercato del lavoro, imprese più aperte ai mercati internazionali, sono tutti ambiti di azione che vanno nella direzione di creare più lavoro.

Secondo: un’Italia che cresce,

di più e in modo costante. La seconda missione è realizzare un tasso di crescita del PIL di almeno il 2 per cento in media d’anno per i prossimi 5 anni.

Si tratta di un tasso di crescita simile a quello medio della Germania tra il 2010 e il 2016, quindi un obiettivo a portata di mano. In questo modo si potrebbe colmare il gap di crescita con gli altri paesi europei che si è aperto poco prima dell’entrata nell’euro, ha raggiunto il picco durante la crisi (2,3 punti percentuali nel 2012 rispetto alla media Eurozona senza l’Italia), per poi scendere ma rimanere comunque ampio (0,9 punti percentuali l’anno scorso).

Si favorirebbe il rientro graduale del debito pubblico e si genererebbero risorse per continuare a modernizzare il Paese e mantenerlo competitivo. Si aumenterebbe la domanda di lavoro, favorendo il raggiungimento della prima missione-Paese, quella di creare lavoro.

Semplificazioni, strumenti per la competitività e l’internazionalizzazione, sostegno dell’Europa per investire più e meglio creano le condizioni per crescere.

Terzo: un’Italia che rassicura,

con il graduale rientro del debito pubblico. La terza missione-Paese è far scendere il rapporto debito/PIL di almeno 20 punti in 5 anni.

Il debito pubblico in rapporto al PIL ha raggiunto il suo massimo storico e neanche negli anni ’90 si era superata la soglia del 130 per cento. Ciò frena la crescita perché vengono sottratte risorse all’economia per servire questo debito (nel 2017, con i tassi ai minimi storici, per servire tale debito è stato impiegato il 3,8 per cento del PIL, una spesa poco superiore a quella sostenuta per l’istruzione scolastica e l’università pubblica) ed espone il Paese alle speculazioni e agli umori dei mercati finanziari che, spesso senza alcun preavviso, possono rendere costoso e complicato il collocamento dei titoli di Stato facendo salire, oltre alla spesa pubblica per interessi, anche il costo dei prestiti per imprese e famiglie.

Per queste ragioni il rientro del debito rappresenta una precondizione necessaria per acquisire la fiducia dei mercati e quella di imprese e cittadini. A tal fine occorre invertire la tendenza e mettere il rapporto debito/PIL lungo un sentiero di costante discesa. Non si tratta di fare drastici tagli di bilancio né di inseguire ricette miracolose. La strada maestra è un mix di avanzi primari, efficienza della spesa pubblica, politica dei fattori, relazione costruttiva con l’Europa, compliance fiscale.

L’obiettivo è dunque il lavoro, mentre crescita e debito sono precondizioni per maggiore occupazione. In questo senso non c’è dicotomia tra imprese e famiglie, perché il lavoro riguarda le famiglie, e si realizza principalmente nell’impresa, con un contributo importante che deve venire anche da un settore pubblico che ritorni ad essere attrattivo e capace di programmare i nuovi ingressi.

Queste tre missioni-Paese sono a portata di mano se si mette in campo, in Italia e in Europa, uno sforzo collettivo per muovere il Paese nella giusta direzione. Serve dunque il coinvolgimento attivo di tre attori:

  • le imprese, di cui il sistema Confindustria vuole essere collettore di idee e soggetto propositivo, con una forte identità istituzionale. Bisogna chiedersi quali cambiamenti culturali e organizzativi siano necessari affinché le imprese manifatturiere italiane continuino a rappresentare una valida opportunità di lavoro, diventando meglio strutturate per competere sui mercati globali. La presenza delle multinazionali in Italia, che da sole rappresentano più di ¼ delle esportazioni italiane va sostenuta e potenziata. La straordinaria crescita dell’export dimostra che parte delle imprese italiane è in grado di beneficiare della globalizzazione e della ripresa della domanda mondiale. Mostra l’importanza di sostenere le multinazionali presenti sul territorio, che da sole rappresentano più di ¼ dell’export. Ma c’è ancora strada da fare. Oggi, la quota di imprese manifatturiere esportatrici sul totale delle imprese è circa il 23 per cento, rispetto al 34 per cento della Germania, con un valore medio dell’export che in Germania è più del triplo di quello delle aziende italiane. Per diventare primo Paese industriale d’Europa è innanzitutto necessario raddoppiare la quota delle imprese esportatrici, visto che la parte più dinamica della domanda proviene oggi dai mercati esteri. Ma soprattutto è necessario colmare rapidamente quel divario che ancora esiste tra quel 20 per cento di imprese che competono, esportano, crescono e quel 60 per cento di imprese che potrebbero ambire a fare parte del gruppo di testa con adeguati accorgimenti in termini di governance, struttura finanziaria, organizzazione, accelerando il cambiamento in atto. C’è poi un 20 per cento di imprese che rischia di essere escluso dalle opportunità offerte se non comprende la necessità di trasformazioni profonde.
  • L’Europa, intesa sia come istituzioni comunitarie, sia come sintesi dei governi nazionali. L’Europa, pur con il 7 per cento della popolazione mondiale, è un gigante economico con un PIL che è oltre un quinto di quello mondiale; pesa per il 35 per cento del totale dell'export mondiale di beni e servizi e per il 20 per cento del valore aggiunto manifatturiero; genera il 50 per cento del welfare del globo. Un mercato unico, che, con più di 500 milioni di consumatori e oltre 23 milioni di imprese, è la più grande area economica del pianeta dove merci e persone possono circolare liberamente.

Una parte importante della proposta di Confindustria non può non chiamare in causa l’Europa perché le politiche europee condizionano direttamente e indirettamente il Paese. Le istituzioni europee gestiscono le regole di funzionamento del mercato interno e dell’unione doganale; portano avanti una politica commerciale comune e un’unica politica monetaria per i paesi dell’Eurozona; tracciano le linee generali in tema di coesione economica, sociale e territoriale, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, reti trans-europee, energia, ricerca e salute pubblica.

In un mondo che diventerà sempre più globalizzato e multipolare, solo nell’ambito dell’Europa si può aspirare a mantenere ruolo e influenza negli affari internazionali di fronte ai colossi (USA, Cina, India, Russia) che già si fronteggiano.

  • Le istituzioni nazionali, dove Parlamento e tutti i livelli di governo verranno chiamati a una duplice funzione. Primo, non smontare quanto di buono fatto finora per creare lavoro. Secondo, accelerare i cambiamenti per fare dell’Italia una locomotiva e non un vagone del treno europeo. Qualunque sia il risultato elettorale, è importante che ci sia ampia condivisione degli obiettivi e una valutazione oggettiva degli strumenti. Confindustria dal suo canto giudicherà proposte e non partiti.

Per portare a compimento le tre missioni-Paese proponiamo di agire contemporaneamente su sei assi prioritari:

  • Italia più semplice ed efficiente.
  • Prepararsi al futuro: scuola, formazione, inclusione giovani.
  • Un Paese sostenibile: investimenti assicurazione sul futuro.
  • L’impresa che cambia e si muove nel mondo.
  • Un fisco a supporto di investimenti e crescita.
  • Europa miglior luogo per fare impresa.

I sei assi non guardano a singoli settori, ma ai fattori che sono cruciali per la competitività, poiché creano il contesto di riferimento per assumere di più e meglio, e operare in ambienti economici certi ed efficienti. Agire lungo le sei direttrici proposte non solo è possibile, ma è necessario. Per farlo, servono proposte da realizzare in modo responsabile per la finanza pubblica, anche per consentire una azione concentrata e più intensa laddove necessario per ridurre i divari territoriali. L’alto debito pubblico richiede di individuare insieme agli obiettivi di crescita e agli strumenti, anche le risorse.

I sei assi prioritari

  • Italia più semplice ed efficiente

In Italia il settore pubblico intermedia poco meno del 50 per cento del reddito nazionale, produce beni e servizi strategici per la crescita economica e sociale, regola la vita dei cittadini e delle imprese, raccoglie risorse da redistribuire. Con tale ruolo, fino a che il settore pubblico non diventerà più semplice e più efficiente, il Paese non potrà aumentare consistentemente il suo potenziale di crescita.

Molte cose sono cambiate in questi anni e bisogna darne atto: l’avvio della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, le regole del mercato del lavoro, una prima revisione delle regole fiscali per ammodernarle e garantire certezza giuridica, l’introduzione del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, l’ammodernamento delle infrastrutture: per andare da Roma a Milano in treno ci vuole lo stesso tempo che da New York a Washington, ma tra le due città italiane ci sono 200 chilometri di ferrovia in più.

Ma la burocrazia è ancora un freno e l’immagine che l’Italia proietta nel mondo è ancora quella di un Paese lento.

Troppe regole, spesso solo formali, che generano oneri impropri e contenzioso, sono da eliminare: occorre assicurare la certezza del diritto quale primo fattore di competitività del sistema.

Abbiamo un processo decisionale farraginoso, che favorisce i veti (es. contrapposizione Stato/Regioni) e la polverizzazione delle competenze e delle responsabilità, ritardando il momento della decisione anche per evitare conseguenze sul piano delle responsabilità. Alla frammentazione delle competenze si accompagnano, spesso, il deficit di capacità amministrativa e la disomogeneità nell’interpretazione delle norme e nelle stesse procedure. Manca poi una capacità e un obbligo cogente alla programmazione, che possa permettere a chi lavora con e per la pubblica amministrazione, di sviluppare adeguate strategie di business.

Anche i tempi della giustizia sono un freno agli investimenti. La Banca Mondiale ci ricorda che in Italia ci vogliono in media 3 anni per l’esecuzione di un contratto, più del doppio rispetto alla media dei paesi avanzati.

I tempi per la realizzazione delle infrastrutture si dilatano in mezzo a una miriade di autorizzazioni preventive, controlli e difficoltà di finanziamento.

Bisogna dunque porre la questione temporale come una grande questione nazionale e chiederci quanto tempo ci mettiamo per fare quello che diciamo. Nella nostra visione un Paese semplice ed efficiente è un Paese che fa quello che dice, e lo fa in tempi certi. Riteniamo che sia più utile all’economia del Paese non avere promesse, piuttosto che promesse che non si realizzano o si realizzano con lunghi ritardi.

Ma un Paese semplice ed efficiente è anche quello che valorizza, nel settore pubblico, una cultura fondata sulla collaborazione e sui risultati, che definisce le priorità e si focalizza su quanto effettivamente è necessario lo Stato faccia in prima persona. Dati i vincoli di bilancio pubblico, che ci accompagneranno per molti anni ancora, bisogna fare un salto concettuale, da Stato erogatore di servizi e risorse, a Stato promotore di iniziative di politica economica in collaborazione con il settore privato, e regolatore. In altri termini, non sono solo i tempi dell’azione il problema, ma anche il perimetro dell’azione stessa.

Un salto di qualità può essere ottenuto assegnando una funzione redistributiva maggiore alla spesa pubblica attraverso la compartecipazione dei cittadini ai servizi offerti. Per tutti i servizi pubblici dove è possibile individuare un corrispettivo (ad esempio: scuola, università, sanità, trasporto pubblico locale), va esteso il principio per cui ognuno dovrebbe essere chiamato a contribuire alla spesa, in proporzione alle proprie capacità. Così facendo, si ottengono due risultati: primo, si generano le risorse per ridurre la pressione fiscale ed eventualmente per semplificare il sistema; secondo, si crea concorrenza spingendo verso maggiore efficienza gestionale e qualità dei servizi all’utenza.

Ciò è particolarmente vero per la sanità. La crescente domanda di prestazioni, difficilmente compatibile con una stabilizzazione della spesa pubblica, potrebbe comportare negli anni a venire una riduzione della copertura pubblica. Spazi di manovra vanno recuperati nella maggiore efficienza della spesa pubblica, nella compartecipazione alla stessa in un’ottica progressiva, valorizzando il ruolo della sanità complementare per rendere più efficiente la spesa sanitaria privata, contribuendo in tal modo a cogliere appieno le grandi opportunità di crescita e di sviluppo industriale legate alla crescente domanda di salute.

Il Paese sarà più semplice ed efficiente se si chiariscono poi i rapporti tra i diversi livelli di governo, sciogliendo il nodo irrisolto del Titolo V della Costituzione. Ci sono politiche che sono più efficienti ed efficaci se realizzate in modo decentrato e altre sulle quali bisogna avere il coraggio di dire che vanno nuovamente centralizzate: infrastrutture strategiche, energia, comunicazioni, programmazione della strategia nazionale del turismo; commercio con l’estero; norme generali sulla tutela della salute.

L’efficienza si conquista, infine, passando dalla cultura del sospetto a quella della collaborazione. I rapporti tra Stato-impresa e Stato-cittadino possono essere migliorati se si premia e discerne tra chi ha comportamenti virtuosi e chi no, se si utilizza la sanzione penale non come strumento “ordinario” di regolazione dell’economia, se si promuovono forme di dialogo e cooperazione anche preventiva - come dimostrano le buone prassi in ambito fiscale - senza, tuttavia, ingessare il sistema con un irrigidimento delle procedure autorizzatorie.

  •  Prepararsi al futuro: scuola, formazione, inclusione giovani

L’innalzamento della crescita economica del Paese è possibile solo accrescendo la qualità e le competenze delle persone. Su questo la strada da percorrere è ancora molto lunga e passa per un sistema formativo più efficace.

Una maggiore autonomia delle scuole nella definizione dei percorsi di istruzione, nel reclutamento del personale e nell’utilizzo delle risorse finanziarie è la direzione verso cui muoversi alla luce delle esperienze estere di eccellenza.

Anche l’università deve subire un profondo rinnovamento: con maggiore autonomia dal lato delle risorse si possono rendere i nostri atenei più internazionali attirando i migliori docenti e gli studenti più motivati, si possono potenziare i sistemi di prestiti e di borse di studio, rendere il trasferimento tecnologico una priorità e funzione chiave degli atenei con indirizzi scientifici.

È necessario investire maggiori risorse nei percorsi degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) che già oggi sono di gran lunga il miglior canale in termini di occupabilità (oltre l’80 per cento dei diplomati lavora ad un anno dal titolo) perché rispondono ai fabbisogni di competenze manifatturiere e permettono alle stesse imprese di partecipare in modo significativo all’attività formativa. Si tratta, di fatto, del segmento più flessibile e business-oriented del sistema educativo italiano.

Allo stesso modo, l’alternanza scuola-lavoro consente alle imprese di intervenire nei processi formativi degli studenti, accompagnandoli in modo coerente e pro-attivo verso una effettiva occupabilità.

Solo con percorsi formativi adeguati è possibile aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, necessario dati i trend demografici, ma anche invertire la tendenza di questi ultimi anni all’emigrazione, che in alcune aree del Paese è diventata vero e proprio spopolamento. Dalla fine degli anni novanta l’evoluzione della popolazione ha dato un contributo negativo alla crescita del PIL quantificabile, nel corso degli anni duemila, in quasi mezzo punto percentuale all’anno a causa di un progressivo invecchiamento, a cui si è sommata la caduta della fecondità. Il declino demografico è un fenomeno che interessa anche le altre economie avanzate, ma in Italia è nettamente più marcato. In altri contesti, da tempo, le politiche per la famiglia hanno cercato di contrastare la denatalità (come nel caso della Francia) e si è puntato in misura maggiore sui flussi migratori in ingresso.

L’immigrazione, infatti, attenua gli squilibri derivanti dall’invecchiamento della popolazione grazie sia alla più giovane età sia alla maggiore fecondità degli stranieri. Pone però una serie di sfide, relative all’integrazione e alla qualità delle competenze delle persone, che vanno affrontate in modo adeguato, anche con iniziative straordinarie di formazione. Si può allora favorire un partenariato industriale per il co-sviluppo delle PMI europee e africane, incentivando la crescita delle imprese italiane sui mercati del continente africano, contribuire alla crescita del settore privato in Africa in collaborazione con i governi locali, realizzare programmi formativi per preparare gli immigrati a lavorare in Italia. Una più stretta collaborazione tre le PMI italiane e africane consentirebbe inoltre un utilizzo più proficuo dei fondi per la cooperazione in chiave di sviluppo industriale dell’Africa.

  •  Un Paese sostenibile: investimenti assicurazione sul futuro

Un Paese che non continua a investire - nelle grandi così come nelle micro infrastrutture - non ha futuro. Se è ovvio che la dotazione infrastrutturale è precondizione della crescita, meno ovvio è il ruolo sociale delle stesse. Le infrastrutture sono un forte elemento di inclusione perché collegano i territori, le periferie ai centri, le città tra di loro, l’Italia al mondo, dando un senso di maggiore coesione nel Paese.

In questo contesto senza frontiere si inserisce, nell’Unione Europea, il sempre più forte appello orientato a promuovere un modello di vita più sostenibile, meno aggressivo nei confronti dell’ambiente e meno energivoro, che trova nel mondo dei trasporti la sua prima implementazione, con gli obiettivi posti di riduzione delle emissioni nocive e di riconversione modale essenzialmente da strada a ferrovia per i trasporti medio lunghi. Mobilità e logistica, di persone e merci, sono dunque fattori chiave, da sviluppare in modo sostenibile, sfruttando tutte le opportunità – di terra e di mare – che il territorio offre.

Per la mobilità delle persone, soprattutto a livello locale, non è più procrastinabile una effettiva apertura dei mercati. Questo potrebbe aiutare nella trasformazione verso una mobilità sostenibile promuovendo la filiera industriale del settore.

Per la mobilità delle merci, occorre estendere i collegamenti ferroviari verso porti/terminali ed integrare le procedure di gestione dell’infrastruttura e di manutenzione e sviluppo al fine di puntare sull’interscambio modale mare-ferro. È questa l’unica modalità in grado di smaltire in poco tempo grossi quantitativi di merce dai piazzali dei porti italiani, inseriti in contesti urbani ormai cristallizzati, difficilmente espandibili ulteriormente e caratterizzati da un sistema viario di accesso al limite della saturazione. Le azioni concrete da implementare, in tal senso, sarebbero legate alla scelta di un numero limitato e selezionato di porti con valenza internazionale, connessi infrastrutturalmente in modo diretto ed efficiente al network dei 4 corridoi ferroviari europei che oggi collega l’Italia al resto d’Europa con un sistema di collegamenti che devono diventare sempre più prioritari per le merci.

Un approccio sostenibile implica un impegno per il risanamento e la valorizzazione delle aree industriali dismesse che può consentire di avviare politiche di attrazione di nuove attività economiche e, sul piano ambientale, permette di riqualificare aree degradate, senza intaccare suolo vergine. Così come si rende necessaria una specifica programmazione per passare dalla cultura dell’emergenza per quanto riguarda le calamità naturali a una politica di previsione, di prevenzione e preparazione finalizzata alla riduzione della vulnerabilità del territorio.

In un’ottica di preservare e valorizzare le risorse, è poi importante il completamento della transizione verso un modello di crescita economica “circolare” in cui i residui della produzione e dei consumi siano reimpiegati nei processi produttivi secondo standard di riciclo elevati.

Un grande piano di infrastrutturazione sostenibile del Paese avrebbe ovvie ricadute su uno degli asset portanti della nostra economia, il turismo, ed in particolare il turismo culturale.

Ma gli investimenti per un futuro sostenibile si possono realizzare solo attraverso un’azione coordinata tra settore privato, istituzioni europee, governo nazionale, regioni ed enti locali e basata su: programmazione e valutazione di effettive priorità di intervento; certezza di risorse pubbliche per investimenti e coinvolgimento di investitori privati di lungo termine; semplificazione delle procedure decisionali e di acquisizione del consenso; adeguamento della regolamentazione della domanda pubblica e della regolazione dei mercati dei servizi generati dalle infrastrutture.

  •  L’impresa che cambia e si muove nel mondo.

Negli ultimi 15 anni, tra globalizzazione e crisi finanziaria, il contesto concorrenziale è cambiato radicalmente. Le economie emergenti sono ormai emerse, l’innovazione digitale ha modificato radicalmente i processi produttivi e i mercati dei capitali, le merci sono vendute sul mercato globale attraverso reti di distribuzione innovative.

Le imprese manifatturiere italiane non sono state ferme. Hanno avviato processi di fusione e integrazione. Si sono affacciate sul mercato dei capitali alternativi per rafforzare la posizione patrimoniale e differenziare quella finanziaria. Hanno aggredito con più decisione i mercati esteri.

L’export italiano, anche grazie alle nuove promozioni messe in pista dal Piano Made in Italy negli ultimi 3 anni, è cresciuto nel 2017 del 7 per cento nominale, fino alla cifra record di 450 miliardi, facendo meglio di Germania e Francia. È certamente migliorato in qualità, con una crescita dei valori medi unitari all’esportazione ben maggiore dei prezzi all’export e si è evoluto in specializzazione: nel 2016 il sistema moda rappresentava ormai il 12,5 per cento del totale dell’export, le produzioni meccaniche il 39,5 per cento, la chimica, le materie plastiche, il farmaceutico il 16,5 per cento.

Le imprese hanno introdotto innovazioni digitali per ottimizzare i processi e aumentare la produttività. Oltre la metà di esse ha usufruito alla fine del 2017 del super-ammortamento e una su tre dell’iperammortamento. Si è rivitalizzato il segmento delle startup innovative (+ 11,3 per cento nel 2017, rispetto al totale registrato nel corso del 2016).

In una fase economica più favorevole, questo processo di trasformazione va accelerato e generalizzato, estendendone la portata al maggior numero di imprese per ridurre la divaricazione tra il 20 per cento di imprese globali e il 60 per cento di imprese pronte a fare il salto di qualità ma ancora non pienamente attrezzate. Così si coglierebbero appieno le opportunità offerte dal contesto internazionale e consolidare la posizione di leadership nella manifattura di qualità.

L’impresa cambia se gli imprenditori cambiano, accettando di aprire il capitale, di assumere competenze innovative e magari a loro distanti per formazione o esperienza, di investire in innovazione, di affacciarsi a nuovi mercati, in una parola, di crescere. Per crescere, servono lavoratori capaci di gestire il cambiamento grazie a una formazione 4.0 e motivati perché possono beneficiare degli aumenti di produttività con premi detassati e con un cuneo fiscale e contributivo più contenuto addirittura azzerato per i giovani neoassunti.

Alla politica spetta di individuare meccanismi di accelerazione di questi cambiamenti, per incentivarli e premiare le imprese virtuose e che rischiano nella trasformazione. Il sostegno al cambiamento si giustifica perché genera esternalità positive con ricadute non solo sulla singola impresa e i suoi dipendenti ma sull’intera collettività. In questo contesto, non c’è antitesi tra responsabilità sociale e competitività. Anzi, nell’ottica di una redditività nel lungo termine, la strada è integrare la sostenibilità nel business per generare quel valore condiviso con tutti gli stakeholder, dentro e fuori l’impresa.

Un’impresa che cambia e si muove nel mondo, che tiene conto delle esigenze degli stakeholder e che crea lavoro è il modo migliore per contrastare la cultura anti-industriale che ancora pervade il Paese.

  •  Un fisco a supporto di investimenti e crescita

Se l’alto debito pubblico richiede prudenza sui tagli generalizzati delle imposte, è però possibile rendere la tassazione più favorevole alla crescita economica e per questa via preparare il terreno alla riduzione della pressione fiscale.

In primo luogo è un tema di governance: la politica fiscale ha bisogno di una regia chiara, ferma e coerente, che sappia essere immune da manovre volte solo a captare consenso politico e da interventi non sistematici e caotici. È necessario un profondo rinnovamento nelle relazioni Fisco-Impresa che, oltre all’aspetto quantitativo, ponga particolare attenzione ai profili qualitativi del rapporto d’imposta, con riguardo ai temi della semplificazione del sistema fiscale, della tutela dei diritti del contribuente e dell’efficienza dell’amministrazione finanziaria nel suo complesso. Occorre, in altri termini, rifondare il rapporto fiscale partendo dalle regole di base, per ristrutturare la macchina amministrativa rendendola più solida ed in grado di produrre maggiore certezza giuridica; poiché l’incertezza interpretativa mina alla base le politiche di investimento al pari di quella normativa, emerge la necessità di un apparato di giustizia tributaria che non dissuada le imprese dal farvi ricorso, spingendole ad adeguarsi alle richieste e alle interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria per evitare i costi e l’eccessiva alea di giudizio.

In secondo luogo, il fisco deve premiare i virtuosi, le imprese che investono, assumono, innovano e crescono, diventando sempre più strumento di competitività del Paese e leva di sviluppo per l’intera economia. L’ottica premiale va applicata anche ai lavoratori, che devono poter beneficiare adeguatamente degli aumenti di produttività e dei risultati economici positivi. I fattori di produzione devono essere lasciati quanto più possibili esenti da tassazione, per evitare distorsioni nelle scelte e per favorire quanto più possibile l’occupazione.

La lotta all’evasione è parte integrante e imprescindibile di un coerente programma di risanamento e di rinascita strutturale dell’economia. L’evasione fiscale penalizza l’equità e distorce la concorrenza. Strumenti di contrasto all’evasione più efficienti allenterebbero il peso del fisco sulle imprese sotto il profilo amministrativo. La contrazione dell’evasione diffusa consentirebbe di recuperare ingenti risorse da destinare alla crescita considerando che il tax gap per talune classi di contribuenti, secondo le ultime stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, supera il 67 per cento (esercenti arti e professioni e imprese personali).

Infine, l’ampliato contesto di operatività delle imprese nonché la diversificazione del modo di fare impresa apre alla necessità di recepire le iniziative comunitarie e internazionali in materia di contrasto all’erosione delle basi imponibili e di ripristino di un trattamento fiscale equo tra modelli di business tradizionali e digitali (web tax).

  •  Europa miglior luogo per fare impresa.

Nel corso della crisi finanziaria l’Europa non è stata ferma, anzi. Sono state realizzate iniziative che hanno evitato il disgregarsi dell’euro e hanno rafforzato l’area economica. Sono state attuate politiche monetarie non convenzionali, impensabili fino a pochi anni fa per la rigida interpretazione del mandato della Banca Centrale Europea.

È stata potenziata consistentemente l’azione della Banca Europea per gli Investimenti. Sono stati realizzati, anche nell’ambito del nuovo quadro degli aiuti di stato alle banche, importanti interventi sul settore finanziario per evitare una crisi bancaria irreversibile. È stata introdotta flessibilità nelle regole europee di bilancio per liberare investimenti pubblici. È stata creata una rete di protezione per i paesi che avevano perso l’accesso al mercato (Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro). Sono state realizzate, in maniera continuativa, consistenti politiche di supporto allo sviluppo di conoscenza, ricerca e innovazione.

Tuttavia, anche se il consenso verso le istituzioni europee è risalito un po’ dai minimi toccati nel 2012, rimane ben al di sotto dei livelli pre-crisi (41 per cento la percentuale dei cittadini europei che hanno una visione positiva dell’UE, da oltre il 50 per cento nel 2007 secondo Eurobarometro). È necessario che l’Europa venga percepita di più come il luogo che semplifica la vita dei cittadini, che contribuisce in modo diretto a creare un contesto macroeconomico stabile, che realizza in prima persona politiche per la crescita.

Il percorso non è semplice perché si fronteggiano due posizioni diametralmente opposte: quella dei governi europeisti – Francia e Germania – che ambiscono a più integrazione, e quella dei sovranisti – soprattutto centro e est Europa – che invece vogliono rimanere in Europa svuotando il progetto di integrazione. E anche chi vuole integrazione, ha posizioni molto diverse sul tipo di delega da affidare alle istituzioni europee.

È dunque necessario stabilire con chiarezza chi fa che cosa, riducendo al minimo le politiche dove c’è un ambito di competenza mista.

In questo contesto di incertezza geopolitica, le istituzioni dell’UE saranno impegnate a cercare di superare gli stalli e individuare soluzioni su dossier politici chiave, suscettibili di avere un impatto sull'economia e sulla vita quotidiana delle imprese: il futuro dell'UEM e l'Unione bancaria, le priorità politiche per il Quadro Finanziario Pluriennale che disciplinerà il bilancio dell'UE dopo il 2020, l'attuazione del nuovo meccanismo di cooperazione per la difesa ‘PESCO’. Ma anche dossier cruciali legati alle politiche europee in materia di mercato unico, clima e energia, digitale, ricerca e innovazione, commercio estero, coesione.

La Brexit è l’occasione per ripensare la governance e le politiche europee in chiave pro crescita, anche per riconquistare consenso nei paesi sovranisti al progetto di integrazione europea. Si tratta allora di usare efficacemente le risorse disponibili nella logica della politica dei fattori, sostenendo ricerca, capitale umano, infrastrutture. Ma anche sviluppare politiche e metodi non convenzionali generando nuove risorse proprie comunitarie, nuovi strumenti, nuove istituzioni per tutelare quel bene pubblico condiviso che è l’euro con più forza, e per avere la capacità di politiche più incisive sulla crescita, la stabilità economica, la sicurezza.

Va poi detto con chiarezza che l'unica strada è quella di una maggiore integrazione, accettando un'Europa nella quale un nucleo circoscritto di Paesi possa promuovere iniziative ambiziose negli ambiti in cui non sia possibile procedere tutti assieme.

 

Le Proposte

Le nostre proposte partono da quegli interventi che vanno a reperire risorse finanziarie in modo non depressivo per la crescita e che poi possono essere impiegate per le misure rappresentate lungo i sei assi. Nella nostra visione, non solo vogliamo dire cosa va fatto, ma anche come, con quali risorse, e con quali ricadute sull’occupazione, la crescita, il debito pubblico, l’export. Non si tratta dunque di una lista di richieste, ma di un insieme ragionato di interventi su:

  • investimenti in infrastrutture, formazione, ricerca e innovazione;
  • semplificazione e efficienza;
  • fisco premiale.

Il reperimento di risorse deve avvenire con il coinvolgimento dell’Europa, del settore privato e del bilancio pubblico:

  • Un’Europa che libera risorse per investire in infrastrutture, ricerca e innovazione, formazione potrebbe contribuire fino a 93 miliardi di euro nel prossimo quinquennio attraverso:
  • un piano europeo di investimenti in ricerca, formazione, infrastrutture gestito a livello sovranazionale da finanziare con l’emissione di eurobond, fino ad uno stock del 3 per cento del PIL dell’Eurozona (ovvero con l’aumento consistente delle disponibilità della Banca Europea per gli Investimenti); alternativamente, o in aggiunta, si potrebbe avere una clausola temporanea e straordinaria sugli investimenti nazionali, consistente in una deroga massima di 0,5 punti di PIL l’anno per 2 anni al Patto di Stabilità e Crescita per tutti i paesi dell’Unione Europea con un rapporto deficit/PIL sotto al 3 per cento. Per l’Italia si potrebbe trattare di 18 miliardi di euro;
  • la riallocazione di parte dei fondi di coesione, europei e nazionali, su investimenti prioritari per la competitività;
  • l’esclusione delle spese di cofinanziamento nazionale ai fondi europei dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita.

 

  • Un settore privato che investe nell’economia reale e si orienta su obiettivi di politica economica potrebbe contribuire fino a 38 miliardi di euro nel prossimo quinquennio attraverso:
  • l’introduzione di un obbligo all’investimento in asset alternativi almeno del 5-10 per cento per i Fondi pensione e le Casse di previdenza (favorendo anche un processo di consolidamento dei fondi pensione); una ricalibrazione dei requisiti patrimoniali delle compagnie di assicurazione per favorirne gli investimenti in titoli di capitale e debito delle imprese, oltre che in infrastrutture;
  • la costituzione di un fondo di fondi nazionale che investa in fondi immobiliari con un forte legame territoriale, per gestire e valorizzare un mix di immobili ceduti a titolo definitivo e conferiti in gestione dagli enti locali; l’estensione delle agevolazioni previste per i PIR e la possibilità di disinvestire a condizioni predeterminate per i cittadini che investono nei fondi territoriali. Nelle ipotesi, si tratterebbe di valorizzare meno di ¼ del patrimonio pubblico degli enti locali.

 

  • Azioni sul bilancio pubblico potrebbero contribuire fino a 120 miliardi di euro nel prossimo quinquennio attraverso:
  • l’aumento della compartecipazione al costo dei servizi pubblici sulla base di fasce di reddito dei contribuenti per trasporti pubblici locali, sanità, scuola, università; nel complesso, la compartecipazione varrebbe a regime poco più del 3 per cento del costo complessivo dei servizi oggi a carico della fiscalità generale;
  • l’introduzione dell’obbligo di spending review di legislatura, con obiettivi pluriennali per le amministrazioni centrali, da realizzare con team multidisciplinari composti prevalentemente da esperti delle amministrazioni stesse, sotto il coordinamento di una delivery unit presso la Presidenza del Consiglio, per ciascuna delle 34 missioni nel quale si articola il bilancio dello Stato al fine di individuare risparmi e misure volte ad aumentare l’efficienza della spesa attraverso la riforma dei processi; lo schema andrebbe esteso a Regioni ed enti locali all’inizio dei mandati; l’obiettivo di efficientamento è stimato in modo prudenziale perché assume risparmi dell’1 per cento all’anno strutturale su un perimetro di spesa “aggredibile” di 350 miliardi di euro (su un totale di spesa pubblica intorno a 800 miliardi di euro);
  • il contrasto all’evasione fiscale per restituire fiducia al sistema Paese, valorizzando e potenziando gli istituti premiali; contrastando i fenomeni di evasione diffusa attraverso la promozione di strumenti di pagamento elettronici, la trasmissione telematica degli scontrini e delle ricevute fiscali e istituendo nuclei specializzati per il controllo dei soggetti di minori dimensioni. L’ammontare di recupero è circa il 13,5 per cento di quanto stimato oggi essere l’evasione.

Nel complesso, stimiamo in modo prudenziale che sia possibile recuperare circa 250 miliardi di euro in cinque anni (tabella 1).

 

Tabella 1 – Il reperimento delle risorse

 

 

Per quanto riguarda gli impieghi, le azioni per raggiungere gli obiettivi delle tre missioni-Paese sono molteplici, toccano tutti gli ambiti dell’economia, richiedono spesso cambiamenti organizzativi, a volte risorse pubbliche e/o intensità differenziate per territorio.

Queste azioni sono raggruppate sotto i sei assi di riferimento:

  • Italia più semplice ed efficiente
  • Riorientare regole e istituzioni pubbliche per favorire la crescita e modernizzare l’Italia:
  • favorire l’innovazione e la digitalizzazione della PA attraverso: (i) un programma straordinario pluriennale di assunzioni di giovani con competenze specialistiche (economisti, ingegneri, informatici, esperti di organizzazione aziendale) e l’individuazione delle competenze necessarie sulla base di analisi dei fabbisogni condotte sul modello dei Piani di Rafforzamento Amministrativo; in particolare, garantire all’Amministrazione finanziaria il supporto di risorse umane adeguate, per numero e competenze, a fronteggiare un quadro-normativo fiscale in continua evoluzione, anche alla luce della maggiore complessità delle operazioni poste in essere e della loro connotazione transnazionale (es. Patent Box); (ii) l’adeguamento di tutta l’attività amministrativa alla sfida della digitalizzazione, agendo sulla quantità e qualità dei flussi di dati e informazioni, favorendo l’incrocio delle banche dati e la diffusione della modulistica on-line;
  • agire sull’architettura istituzionale per ampliare le materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato, attuare il regionalismo “differenziato” e valorizzare le Città metropolitane come punto di trazione dello sviluppo locale e nazionale;
  • legiferare meno e meglio attraverso modifiche puntuali dei regolamenti parlamentari per rendere più celeri e trasparenti le decisioni, il rafforzamento delle analisi di impatto ex ante ed ex post, il rispetto dei principi dello Statuto del Contribuente, un piano di legislatura per la codificazione (con l’obiettivo di adottare almeno 3 Codici di settore all’anno nelle materie strategiche per le imprese) e l’adozione di leggi ad hoc per disciplinare gli strumenti di sostegno all’economia attualmente oggetto di interventi normativi disorganici (es. introduzione di una legge quadro per gli interventi da mettere in campo in occasione di calamità naturali);
  • rafforzare lo strumento dell’interpello, applicandolo anche in ambiti diversi da quello fiscale (es. ambiente), per agevolare il confronto preventivo tra PA e operatori e ridurre così il rischio di sanzioni gravi (es. sequestri e blocchi alle attività di impresa); nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria, proseguire il percorso di transizione verso modelli di assolvimento degli adempimenti che prediligano la compliance spontanea e il dialogo preventivo con l’Amministrazione;
  • rivedere le troppe forme di responsabilità dei dirigenti pubblici (penale, erariale, disciplinare, dirigenziale) per superare la “fuga dalla decisione”, valorizzare le competenze tecniche (non solo quelle giuridico-contabili) e dare piena attuazione ai poteri sostitutivi in caso di inerzia o ritardo;
  • rendere più moderno il sistema di controlli sulle imprese, con un migliore coordinamento delle attività di controllo tra le PA; standardizzare le procedure di verifica (es. transfer pricing ed esterovestizione); valorizzare la compliance (es. modelli 231, certificazioni, adempimento collaborativo in ambito fiscale);
  • rivedere il Codice dei Contratti pubblici, semplificando l’attuale impostazione, restituendo trasparenza al mercato, limitando le deroghe, puntando sulla “qualificazione” delle imprese, rivedendo i presupposti alla base del ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa, combattendo l’illegalità e la corruzione senza danneggiare le imprese corrette;
  • promuovere la legge annuale per il mercato e la concorrenza - strumento valido per introdurre misure pro-concorrenziali in una visione organica e di medio periodo anche con interventi specifici per le PMI - attraverso la previsione di una sessione legislativa ad hoc; rendere più efficace l’azione delle Autorità Amministrative Indipendenti attraverso la riforma del sistema di finanziamento e della governance, nonché la revisione dei perimetri di competenza; intervenire su settori prioritari, a partire dai servizi pubblici locali assicurando l’utilizzo sistematico dei costi standard, l’aggregazione delle imprese e l’efficienza gestionale, nonché il generale ricorso alle procedure di evidenza pubblica, in particolare nell’intero settore del trasporto pubblico locale;
  • qualificare la domanda pubblica come strumento di politica industriale attraverso un maggiore utilizzo degli appalti pre-commerciali e dei partenariati per l’innovazione, una strategia per la suddivisione dei lotti tale da favorire la partecipazione delle PMI, l’introduzione di profili di innovazione tecnologica nell’acquisizione di beni e servizi standardizzati da parte delle centrali di committenza e di CONSIP;
  • sviluppare la sanità complementare a partire da quella contrattuale, mediante incentivi fiscali e contributivi, per rimborsare prestazioni offerte indifferentemente da operatori pubblici e privati;
  • rafforzare la retention degli investimenti strategici attraverso la creazione di un servizio di customer care delle multinazionali estere e la continuità operativa del Comitato Interministeriale Attrazione Investimenti e favorire la ricollocazione in Italia degli headquarter delle stesse.

 

  • Risolvere la questione temporale:
  • costituire team specializzati multidisciplinari tra amministrazioni per assicurare tempi certi agli iter amministrativi negli ambiti più “problematici” ma più rilevanti per l’attività di impresa (es. ambiente, paesaggio, salute e sicurezza, R&S, aiuti di stato);
  • accelerare i pagamenti della PA con l’attribuzione a un unico soggetto, da individuare nell’ambito del team costituito all’interno di ciascuna amministrazione, della responsabilità di tutto il ciclo degli acquisti (dalla stipula dei contratti di fornitura, alle autorizzazioni di spesa, fino al pagamento) in modo da metterlo in condizioni di adempiere ai propri obblighi tempestivamente e, nel caso contrario, risponderne agli organi preposti al controllo; adeguare di conseguenza, rendendole pienamente effettive, le sanzioni per i funzionari pubblici e prevedere, in ultima istanza e per i casi più gravi e reiterati di inerzia, un intervento sostitutivo dello Stato;
  • nella giustizia civile, smaltire l’arretrato e ridurre i tempi delle controversie commerciali a un anno attraverso l’efficientamento organizzativo degli uffici giudiziari (es. Tribunale di Torino), il rafforzamento degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, la generalizzazione del rito sommario di cognizione per le cause di competenza del giudice monocratico, l’inasprimento delle sanzioni per lite temeraria;
  • nella giustizia penale, puntare sulla specializzazione per i principali reati economici, prevedendo sia la competenza distrettuale, sia sezioni specializzate presso i tribunali; nel diritto penale, riformare la responsabilità ex lege 231 (es. più “peso” ai modelli organizzativi; misure ad hoc per le PMI; revisione delle misure cautelari) e ripensare l’estensione delle misure di prevenzione ai reati contro la PA prevista dal nuovo Codice antimafia;
  • nella giustizia tributaria, promuovere una riforma che miri ad una maggiore specializzazione dei giudici; definire un sistema che consenta l’esercizio dell’azione penale per i reati tributari solo a seguito di notifica dell'atto di accertamento; riaffermare la necessità del contraddittorio preventivo generalizzato quale presupposto della corretta azione di controllo; rivedere l’entità delle sanzioni;
  • in materia di documentazione antimafia garantirne il rilascio in tempi certi e più brevi, attraverso la piena operatività della Banca Dati Nazionale Antimafia e, medio tempore, avviando un’azione sinergica di collaborazione tra Ministero dell’Interno, amministrazioni interessate e associazioni di categoria, concentrando mezzi e risorse sugli ambiti prioritari;
  • nelle infrastrutture, accelerare le procedure decisionali programmatiche e finanziarie; rendere obbligatoria la nomina di un project construction manager per opere complesse; accelerare e semplificare il contenzioso; rendere obbligatoria la valutazione ex ante nella relativa allocazione finanziaria per definire priorità, ridurre i costi e verificare le potenzialità di ricorso al capitale privato.

 

  • Prepararsi al futuro: scuola, formazione, inclusione giovani
  • Scuole e università più autonome per migliorare la qualità dellistruzione:
  • attribuire alle scuole che ne fanno richiesta piena autonomia nella definizione dei curricula scolastici personalizzati, nel reclutamento del personale, nell’organizzazione del tempo d’insegnamento, nell’utilizzo di un budget pubblico predefinito e integrabile con fondi privati non condizionati basati su rette progressive per fasce di reddito;
  • nell’università offrire la possibilità di costruire percorsi formativi diversi, con assunzioni di docenti – anche stranieri – in deroga alle norme sui concorsi nazionali e creare un sistema nazionale di borse restituibili;
  • rendere organico il rapporto università-imprese, incentivando percorsi per l’inserimento lavorativo di laureati o di super-periti degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) nell’ambito di iniziative aziendali 4.0, premiando la ricerca che sfocia in applicazioni industriali brevettate; concentrare gli investimenti nella ricerca e sviluppo delle università e dei centri di ricerca nelle aree distintive dell’apparato industriale italiano.
  • Potenziare il sistema della formazione e la capacità formativa delle imprese per accrescere l’occupabilità e loccupazione qualificata:
  • progettare un sistema di orientamento scolastico strutturato che colleghi i fabbisogni professionali ai percorsi formativi;
  • rendere più attrattivi per gli studenti gli ITS trasformandoli in "Smart Academy" e incrementando gli investimenti per ampliare l’offerta formativa anche alle nuove tecnologie;
  • introdurre un quarto tipo di apprendistato denominato “work up 4.0” riservato a giovani assunti da imprese che attuino investimenti nell’ambito del piano industria 4.0;
  • consentire all’impresa di costruire con un giovane un percorso di “filiera formativa” (alternanza scuola-lavoro e apprendistato) riconoscendo in tal caso l’azzeramento degli oneri fiscali e contributivi sul lavoro.
  • Favorire lapertura delle imprese al lavoro straniero:
  • stimolare l’ingresso di lavoratori e ricercatori stranieri altamente qualificati in Italia, attraverso una riduzione della base imponibile IRPEF al pari della misura oggi già prevista per il "rientro dei cervelli” italiani, rendendo così competitivo il salario italiano rispetto a quanto offre il mercato internazionale;
  • utilizzare parte delle risorse oggi spese per la gestione dei migranti per avviare un vasto piano di formazione accompagnandoli verso l’inserimento nelle imprese.

 

  • Un Paese sostenibile: investimenti assicurazione sul futuro
  • Investire su ambiente, territorio e cultura per creare sviluppo:
  • completare la transizione verso un’economia circolare, rafforzando il parco impiantistico nazionale e introdurre un’aliquota IVA agevolata per sostenere il mercato dei prodotti che originano da scarti dei processi produttivi e operazioni di riciclo;
  • favorire le bonifiche dei siti contaminati in un’ottica di reindustrializzazione e creare un fondo pubblico per il superamento del contenzioso sull’amianto in una logica assicurativa; semplificare i processi decisionali sui programmi di difesa idrogeologica e finanziare i costi di progettazione;
  • raggiungere gli obiettivi di de-carbonizzazione con strumenti di efficienza energetica nell’attività produttiva, promuovendo la mobilità sostenibile, (diffusione delle fonti alternative meno inquinanti, sostituzione del parco veicolare pubblico e privato, integrazione modale, sharing mobility e impiego concorrenziale di tecnologie digitali di gestione della domanda e dell’offerta, regolamentare la mobilità e gli spazi di sosta e di scambio modale) e lo sviluppo di tecnologie nazionali per lo sviluppo delle rinnovabili;
  • promuovere la rigenerazione e la riqualificazione urbana e del territorio, integrando gli strumenti di incentivazione della riqualificazione edilizia per favorire interventi su interi fabbricati; riqualificare il patrimonio pubblico e l’edilizia sociale dal punto di vista sia energetico sia strutturale e antisimico;
  • diffondere maggiormente lo strumento fiscale a sostegno delle erogazioni liberali in campo culturale (cd. art bonus) e favorirne l’estensione anche ai beni privati di particolare pregio e merito aventi finalità di fruizione pubblica.
  • Sviluppare mobilità, logistica e comunicazioni:
  • estendere e potenziare i collegamenti ferroviari dei porti e integrare i collegamenti stradali/ferroviari di centri intermodali, interporti e aeroporti, con particolare riferimento alla core network europea;
  • ampliare a tutte le modalità di trasporto la digitalizzazione e semplificazione delle procedure doganali;
  • utilizzare sistematicamente i costi standard superando il concetto di spesa storica, promuovere l’aggregazione delle imprese e ricorrere prioritariamente a procedure di evidenza pubblica nei servizi pubblici locali, in particolare nel Trasporto Pubblico Locale;
  • dare certezza sulle Zone Economiche Speciali incentrate sui porti, per attrarre investimenti logistici e produttivi;
  • completare l’infrastruttura per la banda ultralarga e le comunicazioni mobili 5G.
  • Allineare i costi dell’energia a quelli medi europei:
  • creare un assetto di mercato competitivo per favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili superando l’attuale assetto basato su incentivi amministrati;
  • sviluppare modelli di autoproduzione diffusa (cogenerazione) per la creazione di smart energy community industriali;
  • sviluppare un hub del gas per garantire minori costi di approvvigionamento;

 

  • L’impresa che cambia e si muove nel mondo
  • Agevolare la crescita dimensionale e il rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese:
  • promuovere la creazione di una piattaforma per favorire l’incontro tra gli investitori e le imprese non quotate impegnate in percorsi di crescita, incluse le start up, e favorire l’afflusso verso le PMI non quotate delle risorse investite dalle famiglie attraverso i PIR promuovendo lo sviluppo di prodotti finanziari "PIR compliant" (quali basket bond, fondi di equity quotati, fondi immobiliari per la riconversione di immobili industriali);
  • rafforzare la governance delle PMI promuovendo, in analogia con quanto avviene su base volontaria per le emittenti quotate, l’adozione di un Codice di autodisciplina semplificato che si concentri su alcuni ambiti specifici: procedure interne; requisiti degli amministratori, anche al fine di promuovere l’ingresso nei Consigli di Amministrazione di consiglieri indipendenti; gestione dei conflitti di interesse, rapporti con gli investitori;
  • incentivare l’inserimento di “Temporary Chief Financial Officer” nelle PMI;
  • ampliare il perimetro d’intervento del Fondo di Garanzia per le PMI, innalzando l’importo massimo garantito da 2,5 a 5 milioni ed estendendo i benefici, attraverso la costituzione di un’apposita riserva di risorse, a favore delle imprese che abbiano fino a 500 dipendenti.
  • Facilitare la riorganizzazione e la responsabilizzazione delle imprese:
  • garantire il rispetto della concorrenza per quanto riguarda il costo del lavoro, costruendo le regole per misurare la rappresentanza e contrastando i contratti collettivi stipulati da organizzazioni non realmente rappresentative;
  • diffondere la Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), promuovendo l’adozione di sistemi di certificazione internazionali afferenti ai vari aspetti della RSI, anche attraverso sistemi premiali.
  • Potenziare ricerca e innovazione e garantire continuità al piano nazionale industria 4.0:
  • definire una governance unitaria della R&I che coinvolga tutti i livelli istituzionali;
  • completare e avviare i piani operativi per le aree individuate dalla strategia nazionale di specializzazione intelligente e accelerare la fase di attuazione; definire la strategia nazionale di specializzazione intelligente 2020-2030;
  • accorciare la distanza tra ricerca pubblica e imprese rafforzando le filiere tecnologiche nazionali per favorire la collaborazione strutturale tra imprese e centri di ricerca pubblici e privati e creare una piattaforma nazionale per open innovation, open science e dottorati a indirizzo industriale;
  • su Impresa 4.0: accompagnare le imprese nella trasformazione in chiave 4.0, supportando il cambiamento dei modelli di business e non solo gli investimenti per il rinnovo dei macchinari; creare un sistema premiale ad hoc per le “imprese 4.0”: certificazione delle “imprese 4.0” (Accredia) e accesso semplificato a una serie di agevolazioni (es. premialità nei bandi, accesso facilitato al Fondo di garanzia per il credito delle PMI); definire i coefficienti di ammortamento per i beni 4.0; riconoscere i Digital Innovation Hub (elaborare una definizione ufficiale di DIH per consentire il consolidamento del network 4.0 anche a livello UE);
  • rafforzare l’aggregazione e la collaborazione tra imprese attraverso i contratti di rete per accompagnare la trasformazione verso un modello di impresa più competitivo, innovativo e sostenibile;
  • estendere il modello sviluppato dal Cluster tecnologico Fabbrica Intelligente e da Confindustria in nuove fabbriche.
  • Potenziare gli strumenti per la promozione dellexport:
  • mantenere e rafforzare il Piano Straordinario di Promozione del Made in Italy;
  • potenziare gli strumenti finanziari e gli incentivi per l’internazionalizzazione;
  • favorire la partecipazione delle imprese agli strumenti finanziari per la cooperazione internazionale allo sviluppo ed ai finanziamenti multilaterali.

 

  • Un fisco a supporto di investimenti e crescita
  • Premiare l’impresa che investe, assume, innova:
  • continuare nel percorso di riduzione del costo del lavoro e ridurre il cuneo fiscale e contributivo fino ad azzerarlo per i neoassunti di età inferiore a 30 anni con contratti a tempo indeterminato;
  • rafforzare produttività e competitività, migliorando la dinamica dello scambio salario-produttività per favorire il decentramento della contrattazione collettiva attraverso l’azzeramento degli oneri fiscali e contributivi sui premi di risultato;
  • completare la razionalizzazione degli strumenti di supporto pubblico all’innovazione, rendendo strutturale il credito d’imposta in R&I e con modalità di calcolo non incrementale per alcune tipologie di spese, potenziare gli strumenti negoziali;
  • sostenere la trasformazione delle imprese con un credito di imposta 4.0 a supporto degli investimenti per digitalizzazione e integrazione dei processi lungo la catena del valore;
  • incentivare la partecipazione alle fiere internazionali all’estero attraverso una deducibilità maggiorata delle spese sostenute;
  • rendere strutturale il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno come forma prevalente di utilizzo dei fondi di coesione per le imprese al Sud.
  • Destinare alla riduzione della pressione fiscale parte delle maggiori risorse derivanti dalla più elevata compartecipazione alla spesa per i servizi pubblici.
  • Modernizzare il sistema fiscale e rendere più efficiente l’azione amministrativa:
  • semplificare, rendere certo e stabile il sistema fiscale, non tassando i fattori di produzione. In quest’ottica occorre razionalizzare e rivedere gli adempimenti fiscali, in particolare quelli che attengono alla gestione dell’IVA aumentando le soglie di compensazione, accelerando i tempi di rimborso, consentendo un più celere recupero dell’IVA sui crediti non riscossi, ripristinare un termine congruo per la detrazione IVA. Creare procedure di controllo standardizzate sui temi della fiscalità internazionale, in particolare con riguardo all’esterovestizione e ai metodi valutativi dei prezzi di trasferimento;
  • rendere più efficiente l’azione amministrativa, garantendo il coordinamento tra le iniziative di politica fiscale e gli obiettivi strategici del Paese; aumentando il coordinamento, nel rispetto nelle diverse prerogative, tra le varie articolazioni dell’Amministrazione finanziaria e promuovendo il dialogo tra Amministrazione finanziaria e Associazioni di rappresentanza anche a livello territoriale su temi specifici e diffusi sul territorio;
  • modernizzare e rendere competitivo il sistema fiscale, recependo su un piano di parità con i competitor esteri le iniziative comunitarie e internazionali in materia di trasparenza e tassazione societaria (ATAD I e II) e i nuovi standard di fiscalità elaborati per il contrasto ai fenomeni BEPS; introducendo forme di prelievo idonee a ripristinare un trattamento fiscale equo tra modelli di business “tradizionali” e “digitali”.

 

  • Europa miglior luogo per fare impresa
  • Una governance dell’eurozona orientata all’integrazione. Istituire un Ministro delle Finanze indipendente dagli Stati membri, che risponda ai cittadini europei e che:
  • possa disporre di risorse proprie per gestire un budget dell’eurozona finalizzato alla stabilizzazione del ciclo;
  • abbia la responsabilità sull’emissione di eurobond che, oltre a finanziare il suo budget, servano a finanziare progetti europei su infrastrutture, formazione, ricerca e sviluppo;
  • abbia la facoltà di incidere sui disegni di leggi di bilancio nazionali, se significativamente non in linea con gli obiettivi concordati.
  • Riorientare la politica europea ai fattori più che ai settori e rafforzare la politica di coesione, portando industria e competitività al centro:
  • anche nel quadro della definizione del futuro bilancio dell’Unione, semplificare le procedure per l’accesso alle risorse e razionalizzare il quadro di tutti i finanziamenti europei, a partire da quelli per la coesione, mettendoli al servizio degli obiettivi di politica industriale e di competitività;
  • rafforzare le sinergie tra programmi a gestione diretta e dei fondi strutturali, e i relativi strumenti di finanziamento, allo scopo di fare massa critica rispetto agli obiettivi e alle priorità dell’UE e di favorire un effetto leva sugli investimenti privati, preservando gli obiettivi specifici di ciascun programma;
  • avviare un percorso di ripensamento dell’attuale assetto europeo di principi e regole in materia di politica europea degli aiuti di stato e della concorrenza, per tenere conto dei mutamenti intervenuti nello scenario globale;
  • definire un piano europeo per la Cybersecurity che metta in sicurezza l’industria digitalizzata favorendo la creazione di un quadro condiviso a livello europeo;
  • contribuire attivamente alla definizione di un quadro europeo di regole volte a monitorare le condizioni di accesso degli investimenti diretti esteri nell’UE, bilanciando la necessità di attirare investimenti con quella di tutela degli asset produttivi nazionali ed europei considerati strategici.
  • Un’Italia coprotagonista in un’Europa più integrata:
  • promuovere progetti di maggiore integrazione europea che, per superare l'eventuale opposizione di alcuni Stati, potrebbero riguardare un nucleo ristretto di Paesi;
  • Favorire una politica commerciale orientata verso accordi di libero scambio che riducano soprattutto le barriere non tariffarie e siano basate su rispetto di elevati standard;
  • garantire un maggiore coordinamento a livello politico, ministeriale e tecnico per la definizione degli interessi prioritari del Paese in sede UE (attraverso il Coordinamento Interministeriale per gli Affari Europei);
  • assicurare una presenza del Paese più coerente e strutturata a livello politico e tecnico in sede UE.

 

La tabella 2 riporta una sintesi per macroaggregati delle diverse proposte, quantificandone il costo. Nel complesso, stimiamo che esso sia pari a circa 247 miliardi di euro in cinque anni (tabella 2).

 

Tabella 2 – Gli impieghi

 

Gli effetti sull’occupazione, la crescita, il debito pubblico, l’export

Gli effetti sono stati stimati assumendo che non vengano toccati gli assi portanti di alcune riforme degli anni passati (Jobs Act, riforma Fornero ad esempio) e che le misure proposte inizino ad essere implementate già dal primo anno in modo da aumentare la competitività ed efficienza delle imprese e della pubblica amministrazione, nonché la dotazione in termini di infrastrutture, qualità del capitale umano, di ricerca e innovazione. Sulla base delle stime, si potrebbero avere in cinque anni 1,8 milioni di occupati in più, di cui più di 800 mila come effetto delle proposte di Confindustria. Questo porterebbe il tasso di occupazione al 63 per cento contro il 60,9 per cento atteso in mancanza delle misure indicate.

L’aumento dell’occupazione sarebbe determinato da una crescita del PIL reale di più del 2 per cento all’anno, più che raddoppiando il tasso di crescita a politiche invariate dal terzo anno in poi. Nel complesso, il valore cumulato del PIL che si aggiungerebbe rispetto allo scenario base sarebbe di 5,2 punti, circa 90 miliardi di euro di maggiore PIL.

La maggiore occupazione e la maggiore crescita inciderebbero favorevolmente sui conti pubblici ed in particolare sul rapporto debito/PIL che accentuerebbe consistentemente il profilo discendente già presente nello scenario base. Alla fine del periodo, il rapporto debito/Pil scenderebbe di più di 21 punti, dall’attuale 131,6 al 110,5 per cento. Rispetto allo scenario a politiche invariate si tratta di oltre 14 punti di PIL di minor debito, 170 miliardi di euro.

La maggiore competitività delle imprese italiane, acquisita grazie agli interventi proposti, spingerebbe ulteriormente l’export, ovviamente assumendo un quadro geopolitico stabile. La nostra stima è che la quota di export sul PIL potrebbe passare dal 31,7 per cento al 34,8 per cento in cinque anni.

 

Tabella 3 – Gli effetti

 

Nota: le stime sono state condotte utilizzando il modello econometrico del Centro Studi Confindustria. Lo scenario base è una simulazione a politiche invariate, con un'ipotesi di crescita economica tendente all’equilibrio di lungo periodo del modello CSC.

 

Conclusione

L’Italia non è all’anno zero.

Ha superato la grande crisi finanziaria globale senza incorrere in aiuti esterni, a differenza di Spagna, Ungheria, Cipro, Portogallo, Grecia, Irlanda, Lettonia, Romania. Ha limitato il sostegno al sistema finanziario nazionale rispetto a quanto fatto da Spagna, Olanda, Germania, Irlanda, Francia, Regno Unito.

Ha condotto riforme per ammodernare il Paese.

È cresciuta la vocazione delle imprese italiane a espandersi su mercati esteri.

Dobbiamo rivendicare con orgoglio l’essere parte di un grande Paese: siamo una delle principali economie del mondo, leader in molti ambiti anche a forte contenuto tecnologico, abbiamo unicità in termini di beni culturali diffusi, bellezze naturali fatte di isole grandi e piccole, montagne da nord a sud. È difficile pensare ad un altro Paese del mondo così invidiato per lo stile di vita.

Ma non basta.

L’alto debito pubblico rappresenta un freno alla crescita ed è necessario assicurarne una lenta ma graduale riduzione.

Il Paese è ancora troppo complicato e poco efficiente, rendendo più difficoltoso che altrove sviluppare idee innovative e assumersi il rischio.

Permane una cultura anti-industriale miope, che vive ancora l’industria e l’imprenditore come qualcosa di contrapposto al lavoro e alle famiglie, senza considerare che la realizzazione del lavoro avviene proprio nell’impresa, e quello che ogni famiglia vuole è lavoro per i propri figli. Questo vale per le famiglie di imprenditori, come quelle degli operai, dei quadri, dei dirigenti.

Serve dunque accelerare i cambiamenti e cogliere le opportunità. Le nostre proposte non sono un libro dei sogni. La missione-Paese di almeno 1,5 milioni di posti di lavoro in cinque anni è realizzabile con uno sforzo collettivo da parte della politica che verrà, delle imprese, dell’Europa. L’obiettivo può essere ampiamente superato se verranno implementate le misure proposte.

All’Europa chiediamo di sfruttare la finestra di opportunità dei bassi tassi di interesse per finanziare un piano straordinario di investimenti, in Italia come in tutti gli altri paesi che vorranno procedere verso maggiore integrazione.

Alla politica chiediamo di confrontarci su proposte concrete, che responsabilmente internalizzano il vincolo del debito pubblico, che dicano non solo cosa bisogna fare ma come, con quali risorse e con quali effetti.

Noi imprenditori vogliamo impegnarci per rendere le nostre imprese sempre più il luogo dell’innovazione, della crescita dimensionale, dell’apertura ai mercati esterni, della coesione sociale.

Le Assise sono il punto di partenza di un nuovo percorso. Nel post-Assise consolideremo il nostro ruolo in tutte le sedi e livelli attraverso le proposte concrete, le soluzioni e le modalità di implementazione che sosterremo non nell’interesse di un settore produttivo o di una categoria sociale, ma nell’interesse dell’industria italiana, fatta di imprenditori e delle loro famiglie e di lavoratori. Valuteremo le politiche, e non la politica, in modo rigoroso, basandoci sui fatti e sugli effetti economici delle scelte che verranno di volta in volta effettuate.