"INDUSTRIAEUROPA" L'Assemblea pubblica di Confindustria FVG, organizzata da Confindustria Alto Adriatico e Confindustria Udine

TRIESTE, 24 OTTOBRE 2025 - All'assemblea pubblica di Confindustria FVG, organizzata per la prima volta da Confindustria Alto Adriatico e Confindustria Udine (al Generali Convention Center di TS), i quattro presidenti hanno lanciato un appello corale per una rifondazione del progetto europeo su basi industriali concrete, in un momento storico segnato da incertezza globale e crescente competizione internazionale.

Michelangelo Agrusti, presidente di CAA, ha aperto i lavori (dopo la prolusione del filosofo francese Bernard Henry-Lévy) spiegando che «senza Europa non c'è futuro» invocando il passaggio «da un'Europa che regola a un'Europa che produce». Agrusti ha ricordato l'intuizione fondante della CECA come primo progetto di politica industriale comune e ha ricordato Trieste come città simbolo delle contraddizioni e delle rinascite europee, citando in chiave critica il discorso di Mussolini del 1938 sulle leggi razziali come momento in cui l'Europa smarrì sé stessa. Anche da qui, la proposta di promuovere filiere strategiche pienamente europee nei settori chiave – energia, acciaio, microchip, elettronica e software – per garantire autonomia industriale e sovranità tecnologica, combattendo le distorsioni normative che penalizzano la competitività.

Luigino Pozzo (in chiusura del testo il suo intervento integrale in allegato), presidente di Confindustria Udine, ha denunciato l'invisibilità progressiva dell'impresa nel discorso pubblico e tracciato un quadro preoccupante: negli ultimi quarant'anni il peso dell'industria sul PIL italiano è sceso dal 25% a meno del 18%, mentre a livello globale la produzione non è diminuita ma si è semplicemente spostata. Pozzo ha lanciato un appello per un nuovo patto di corresponsabilità: «Oggi il rischio del fare impresa ha raggiunto livelli non più sostenibili se rimane interamente sulle spalle del singolo imprenditore». Il Presidente di Confindustria Udine ha inoltre delineato le priorità – investimenti in competenze, ricerca triplicata, energia accessibile, infrastrutture potenziate – e criticato un Green Deal dalle scadenze impossibili che rischia di causare una deindustrializzazione auto-inflitta invocando un vero Industrial Deal.

Pierluigi Zamò, presidente di Confindustria FVG, ha definito l'assemblea unitaria un segnale di coesione attorno ai valori fondanti dell'Europa – liberté, égalité, fraternité – che devono tornare a essere strumenti di azione. Ha ricordato il Friuli Venezia Giulia come terra di emigranti e richiamato le tragedie contemporanee come la guerra in Ucraina. Ha poi posto l'accento sulla responsabilità diretta degli imprenditori: «Se l'Europa non funziona è anche colpa nostra, perché non abbiamo saputo eleggere le persone giuste né incidere sulle leggi». Zamò, infine, ha segnalato il nodo irrisolto dell'acciaio come criticità che penalizza l'intera industria italiana.

Il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha richiamato l’urgenza di una visione industriale europea e nazionale di medio periodo capace di garantire stabilità e competitività in un contesto globale segnato da squilibri valutari, dazi e politiche divergenti sottolineando come il mercato statunitense rappresenti un valore strategico non solo per i volumi di export, ma anche per la qualità della domanda e il contributo diretto alla crescita del welfare nazionale. Orsini ha inoltre denunciato il peso crescente dei dazi, la volatilità dell’euro-dollaro e l’assenza di strumenti comuni come gli Eurobond, che limitano la capacità dell’Europa di sostenere investimenti in settori chiave come transizione ambientale e intelligenza artificiale. Il numero uno di viale dell’Astronomia ha ribadito la necessità di accordi commerciali più rapidi e stabili, citando il caso del Mercosur come opportunità per ampliare i mercati senza penalizzare la manifattura europea. L’export italiano, ha ricordato, vale oltre 600 miliardi, di cui una parte consistente sostiene direttamente il sistema di welfare: «Il benessere collettivo nasce dall’impresa». In Italia, ha precisato, le 250.000 aziende con più di dieci dipendenti generano quasi l’80% del gettito che sostiene la sanità e i servizi pubblici, motivo per cui vanno tutelate come risorsa strategica. Entrando nel merito della legge di bilancio, Orsini ha ricordato che Confindustria partecipa al confronto con il Governo non come controparte ma come parte del Paese, e che serve una programmazione industriale almeno triennale, in linea con i cicli di investimento tipici delle imprese. Ha riconosciuto l’attenzione riservata all’industria, ma ha chiesto che le misure siano orientate alla crescita, non solo al contenimento del deficit. Il Presidente di Confindustria ha citato il modello delle ZES come esempio di politica efficace: in due anni, 5,6 miliardi di incentivi hanno generato 28 miliardi di investimenti e 35.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre: certezza del diritto e semplificazione amministrativa, secondo Orsini, rappresentano elementi decisivi per attrarre capitali. Il Presidente ha infine segnalato alcune criticità da correggere, tra cui i limiti alla compensazione dei crediti fiscali e la doppia tassazione tra holding e controllate, che ostacolano la liquidità e la competitività delle imprese. «Solo una politica industriale coerente e stabile, sostenuta da istituzioni europee più reattive e coordinate – ha detto – può garantire crescita, occupazione e coesione sociale in una fase di forte incertezza globale».

IL MONOLOGO DI BERNARD-HENRI LÉVY

L'Assemblea pubblica di Confindustria FVG, organizzata da Confindustria Alto Adriatico e Confindustria Udine, si è aperta questa mattina al Generali Convention Center con una sorpresa di rara intensità intellettuale: senza alcun annuncio preliminare, infatti, Bernard-Henri Lévy, scrittore e filosofo francese noto per il suo impegno politico e culturale in difesa dell'Europa, è salito sul palco nello stupore di una platea, circa 1800 persone, trovatasi dinnanzi a una delle voci più autorevoli del pensiero europeo contemporaneo.

Lévy ha offerto «Il suono di un’altra Europa», monologo dal messaggio duplice. 

«La cattiva notizia – ha detto – è che ci troviamo sull'orlo di un collasso storico, minacciato da fronti convergenti. Il primo è la Russia di Putin, il cui obiettivo non è territoriale ma la destabilizzazione del continente, visto come corresponsabile della dissoluzione dell'Unione Sovietica; il secondo è costituito dalla rinascita di antichi imperi come la Cina, che considera l'Europa il nemico storico per le umiliazioni coloniali ottocentesche, la Turchia degli ideologi, intenta a distruggere quella che percepisce come fortezza europea, l'Iran degli Ayatollah e l'islamismo radicale nelle sue varie declinazioni, tutte con l'Europa nel mirino». 

Secondo Lévy il terzo fronte è rappresentato, paradossalmente, dagli Stati Uniti, storicamente alleati: «Se il progetto americano originario mirava a far rifiorire oltremare i valori europei calpestati da guerre e intolleranza – ha detto – oggi gli Usa si stanno rivoltando contro l'Europa, orientandosi verso una Silicon Valley che si estende oltre il Pacifico». Il quarto fronte è interno e riguarda le forze antieuropee come Orbán e i populisti tedeschi di AfD. Infine, sempre secondo il filosofo, l’euro rischia di scomparire, «poiché ogni moneta transnazionale richiede un potere politico forte su cui poggiare, come dimostra la storia delle valute comuni fallite».  

La buona notizia è che «i cittadini europei possono evitare il crollo, a condizione di agire su più fronti. L'Europa deve dotarsi di un volto e di un'autorità, superando l'attuale anonimato simboleggiato dalle banconote. Serve sdoppiare la sovranità, accettando che i grandi temi – flussi finanziari, salute, immigrazione, terrorismo, guerra e pace – non possano essere di competenza esclusiva degli stati nazionali, ma richiedano un'agora europea. Occorre lottare contro il populismo, riconoscendo che il sovrano, anche quando è il popolo, non può essere assoluto e può sbagliare. È necessario difendere i pilastri europei – Grecia, Roma e Gerusalemme – combattendo l'antisemitismo. Infine – ha concluso – gli europei devono ritrovare fierezza ricordando che se l'Europa ha inventato il fascismo, ha anche inventato l'antifascismo e i suoi valori sono quelli sognati dai combattenti per la democrazia in Ucraina, Siria e Somalia nelle guerre contemporanee». 

Un'apertura, quella di Lévy, che ha trasformato un'assemblea imprenditoriale in un atto di pensiero collettivo, richiamando gli industriali del Friuli Venezia Giulia a una responsabilità che travalica l'economia per toccare il destino stesso della civiltà europea.

L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DI FEDERACCIAI, ANTONIO GOZZI

All’Assemblea pubblica di Confindustria Friuli Venezia Giulia, organizzata da Confindustria Alto Adriatico e Confindustria Udine, il Presidente di Federacciai e del Gruppo Duferco, Antonio Gozzi, ha offerto una lettura delle sfide che la siderurgia europea sta affrontando tra dazi internazionali, concorrenza sleale e politiche ambientali interne.

Gozzi ha ricordato come il settore fosse stato colpito dai dazi introdotti già dalla prima amministrazione Trump che, alla fine del 2018, impose un prelievo del 25% sull’acciaio. Gli effetti per l’Italia furono immediati: nel 2018, ultimo anno senza barriere tariffarie, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti ammontavano a «poco più di 900 mila tonnellate»; nel 2024 sono scese a «poco più di 200 mila». Una contrazione assorbita nel tempo grazie alla capacità delle imprese italiane di individuare nuovi mercati, ma che ha lasciato profonde ripercussioni sull’equilibrio globale.

«Oggi la principale criticità non è più l’impatto diretto dei dazi, bensì quello indiretto, il cosiddetto trade diversion: i Paesi che non riescono più a esportare acciaio negli Stati Uniti riversano il loro prodotto nell’unico mercato ancora relativamente aperto, l’Europa». Una dinamica che secondo Gozzi rischia di inondare il mercato continentale e di penalizzare ulteriormente la produzione interna. A questo scenario si aggiunge la pressione interna esercitata dalle politiche ambientali dell’Unione. «La siderurgia europea è già sotto stress per effetto della tassa carbonica dell’ETS e per la prevista scomparsa delle free allowances dal 2026» ha affermato Gozzi sottolineando come il Green Deal, pur necessario nella prospettiva ecologica, abbia assunto tratti «eccessivamente punitivi» per i settori industriali strategici.

Il Presidente di Federacciai ha informato che per contrastare queste spinte, Bruxelles ha introdotto due misure di protezione: «La prima, attualmente in discussione in sede di Parlamento, Consiglio e Commissione – ha detto – prevede una riduzione del volume massimo di importazioni da 28 a 18 milioni di tonnellate annue, oltre il quale scatterà un dazio del 50%. La seconda entrerà in vigore nel 2026 e stabilisce che negli acquisti pubblici almeno il 60% dell’acciaio utilizzato dovrà essere di produzione europea. L’Europa – ha concluso – sta cercando di reagire, ma con lentezza e senza affrontare fino in fondo i nodi strutturali della siderurgia; difendere l’acciaio europeo significa difendere la capacità produttiva e tecnologica del continente».

“GRANDI IN EUROPA”, LA TAVOLA ROTONDA

Nel cuore del programma di INDUSTRIAEUROPA, la tavola rotonda “Grandi in Europa” ha riunito alcune tra le principali voci del sistema industriale regionale e italiano in un confronto ad alto livello sul ruolo e sulle prospettive delle grandi imprese nel contesto europeo. L’incontro è stato animato dagli interventi di Pierroberto Folgiero, Amministratore delegato del Gruppo Fincantieri – intervenuto in call con qualche minuto di anticipoCamilla Benedetti, Chairwoman di ABS Acciaierie Bertoli Safau e Alberto Zanata, Presidente e CEO di Electrolux Professional Group. Un dialogo dedicato alla capacità competitiva, all’innovazione e alla responsabilità industriale in una fase cruciale per l’economia continentale.

Folgiero, parlando dei segmenti dell'industria marittima e della cantieristica navale, ha parlato di una piattaforma industriale tornata strategica dopo decenni di delocalizzazione e disimpegno produttivo dell’Occidente sottolineando come il continente stia vivendo una fase di «reindustrializzazione» che riporta al centro il valore della manifattura e del capitale tecnologico. In questo scenario, la cantieristica diventa uno dei motori simbolici e concreti di tale rinascita, rappresentando un settore in cui l’Europa può ancora esercitare una leadership fondata sull’innovazione e non sulla competizione di costo. 

«Non dobbiamo misurarci sul prezzo dell’acciaio, del lavoro o dell’energia», ha affermato, «ma sulla capacità di integrare tecnologia e conoscenza nei sottosistemi che costituiscono il vero valore della nave». Folgiero ha ricordato come Fincantieri, anche nei momenti di maggiore contrazione del mercato, abbia scelto di non arretrare, mantenendo la capacità di progettazione e produzione integrata investendo nei domini più avanzati del settore. Tale strategia, ha precisato, si articola su quattro assi fondamentali. Il primo è quello delle crociere, considerate «system of systems», vere e proprie città galleggianti (smart cities) la cui complessità industriale è senza pari; il secondo è la difesa, ambito in cui piattaforme e cantieri condividono tecnologie e processi con il civile, differenziandosi solo per i sistemi d’arma; il terzo riguarda le navi destinate a infrastrutture offshore e posa cavi, con payload tecnologici di altissimo livello e un ruolo crescente nella sicurezza energetica europea; infine, il dominio subacqueo, «ciò che lo spazio era anni fa», frontiera strategica in cui l’Italia possiede una legacy naturale e dove il Mediterraneo si configura come area ad altissimo valore geopolitico per cavi, energia e sicurezza.

Benedetti ha invece sottolineato come «la trasformazione della siderurgia europea passi attraverso un modello fondato sull’innovazione: di processo, con la produzione da rottame e la riduzione delle emissioni e di prodotto, con nuovi acciai ad alte prestazioni per applicazioni che vanno dalla mobilità elettrica alle energie rinnovabili. Un modello che si fonda sinergicamente sulla collaborazione con i clienti – ha concluso Benedetti – e con il mondo dell’istruzione e della ricerca universitaria».

Per Alberto Zanata, «il contesto europeo richiede un’evoluzione strutturale: per sostenere realmente lo sviluppo delle aziende, in particolare di quelle italiane che rappresentano un’eccellenza in termini di leadership, è fondamentale che l’Europa si trasformi da un’aggregazione di Paesi in un unico, vero mercato. A livello operativo – ha osservato – lo spostamento delle persone da una nazionale all’altra resta tuttora complesso. Permangono differenze nei sistemi pensionistici, previdenziali e nelle assicurazioni sanitarie». E per Zanata il nostro continente dovrebbe mirare a diventare, nei fatti, gli Stati Uniti d’Europa sotto il profilo della mobilità: «Ho lavorato cinque anni negli Usa – è l’esempio – dove è molto più semplice trasferire una persona da uno Stato all’altro rispetto a quanto avviene qui da noi». Una complessità che, per il Presidente e CEO di Electrolux Professional Group, non riguarda solo gli individui ma anche i processi produttivi e lo spostamento delle unità industriali. «La delocalizzazione della produzione – ha aggiunto – come quella che la nostra azienda ha recentemente annunciato, ad esempio dalla Svizzera all’Italia o all’interno della Francia, non è mai un’operazione banale. Eliminare queste barriere operative è un tema cruciale che faciliterebbe in modo significativo lo sviluppo aziendale. Nonostante le sfide strutturali – ha concluso – noi, come azienda a proprietà svedese, manteniamo in Italia la leadership non solo nell’innovazione visto che il nostro centro di ricerca, la parte più strategica, è situato qui. Questo focus, che riguarda l’elettronica e l’ambito della cucina – e che supporta anche la divisione laundry – è tutt’altro che casuale».

LE TESTIMONIANZE DEGLI STUDENTI

Al termine dei lavori le testimonianze di Jennifer Tissino, già studentessa ITS Academy Alto Adriatico e Alessandra Olivo, dell’ITS di Udine che hanno messo in luce le opportunità e il bagaglio di competenze offerte dalla loro esperienza. Particolarmente toccante lo speech di Emmanuel Tetteh, lavoratore ghanese ora in Italia grazie al Progetto ideato da CAA e gestito operativamente da Umana Spa. «Essere venuto in Italia a lavorare – ha detto il giovane – è stata l’occasione più importante della mia vita perché mi ha permesso, come a tanti miei connazionali, di dare una svolta decisiva al destino. Tutto è iniziato lo scorso aprile – ha raccontato – con la cerimonia inaugurale alla presenza del Presidente Mattarella nel nostro centro salesiano ad Accra. Il percorso non è stato facile, abbiamo studiato la tecnica di lavoro e l’italiano, molto diverso dalla nostra lingua d’origine. Qui hanno capito le nostre iniziali paure, apprezzando col tempo il nostro lavoro e, soprattutto, la nostra volontà. Noi non vogliamo sprecare l’occasione che stiamo vivendo».

 

DI SEGUITO L'INTERVENTO INTEGRALE DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA UDINE, LUIGINO POZZO